Il servizio civile all’estero è per molti un primo passo nel mondo della cooperazione internazionale. Come mai? Cosa può dare a un/a giovane un anno di volontariato all’estero? E come prepararsi a questo percorso?
Ne parliamo con Sebastiano Miele, antropologo, formatore, blogger, ma soprattutto esperto di servizio civile e mobilità internazionale, nonché ex volontario di servizio civile all’estero.
Che opportunità rappresenta il servizio civile all’estero?
Secondo me c’è una triplice risposta: il primo dal punto di vista del/della giovane, il secondo dal punto di vista di un ente e l’ultimo dal punto di vista del Paese.
Dal punto di vista di un giovane, è uno dei pochissimi percorsi oggi disponibili per fare esperienza all’estero e aprirsi una carriera in ambito internazionale.
“Io ho fatto diversi anni fa il servizio civile all’estero in Burundi e quando ho cominciato a occuparmi di servizio civile, ho fatto alcune ricerche con giovani che come me avevano fatto esperienza all’estero. Tra chi ho intervistato, dopo 1 o 2 anni dal servizio civile, quasi nessuno si è ritrovato ad avere particolari difficoltà nella sua carriera professionale, la maggior parte a quel punto aveva un lavoro, molti rimanendo all’estero”
Non ci sono sempre solo aspetti positivi: un progetto di servizio civile all’estero può anche essere pesante, posso anche partire e trovarmi in difficoltà con il gruppo di colleghi o con il tutor di progetto.
Ma anche nel caso in cui l’esperienza andasse male, sicuramente si tratterà di un’esperienza importante, che puoi portarti nei mesi ed anni successivi, come bagaglio di competenze personali e professionali.
Ti permetterà anche di affrontare la vita con un piglio, un atteggiamento diverso. Tantissimi ragazzi e ragazze, che hanno fatto un’esperienza di questo tipo, mi hanno raccontato come le loro priorità e tanti punti di vista hanno cominciato a cambiare.
Con un servizio civile all’estero si diventa molto più a proprio agio con le lingue straniere, con i contesti complicati, con il lavorare in maniera molto più flessibile, in contesti che possono mutare velocemente, avendo a che fare con persone che vivono condizioni particolarmente provanti. È molto diverso dal fare esperienza in un progetto in Italia in una situazione molto più protetta.
Per gli enti che promuovono progetti all’estero secondo me è una grossa opportunità. Chi fa il servizio civile all’estero, torna con una marcia in più , che ricade molto spesso sugli enti. Moltissimi giovani che finiscono un progetto di servizio civile, infatti, si trovano a collaborare con quegli stessi enti che li hanno inviati, proprio perchè per loro rappresentano una risorsa in termini di competenze e di resilienza.
Per quanto riguarda il punto di vista del Paese, l’Italia ha sicuramente bisogno di svecchiarsi, di aprirsi a un mondo che sta cambiando, anche se ancora non se ne rende conto. Secondo me, bisogna entrare nell’ottica che saremo molti di più, di molti più colori, di molte più estrazioni sociali e di molte provenienze diverse, se non vogliamo diventare un Paese per vecchi.
I ragazzi e le ragazze, che hanno fatto esperienza all’estero, poi sono molto più pronti ai nuovi tipi di società che ci saranno, proprio perchè hanno visto contesti differenti, si trovano molto più a proprio agio con le lingue straniere e con persone di provenienza diversa.
“Sono giovani pronti ad avere voce in capitolo in questa nuova società, tanti altri si devono ancora abituare, non sono ancora pronti ad affrontare dei grossi cambiamenti perché semplicemente non li hanno mai vissuti prima”.
Come funziona il servizio civile all’estero e chi può fare domanda?
Spesso mi chiedono se chi ha già fatto il servizio civile in Italia può farlo poi anche all’estero. Servizio civile in Italia o servizio civile all’estero sono la stessa cosa, si tratta sempre di servizio civile universale e si può fare una sola volta nella vita. Quindi se volete farlo all’estero o in Italia è necessario pensarci e deciderlo prima. Anche se, da un paio di anni è possibile trovare nel bando anche progetti con una parte all’estero ed una in Italia.
Quest’anno di 56.205 posti, 980 posti sono per operatori volontari all’estero. Si tratta di un numero piuttosto basso, se pensiamo a quanti giovani vorrebbero fare un’esperienza di questo tipo, che può essere determinante per avviare un certo tipo di carriera, ad esempio nella cooperazione.
In generale negli ultimi anni arrivano sempre 100.000 domande per il servizio civile, praticamente il doppio dei posti disponibili in totale. Il numero dei posti all’estero è aumentato rispetto agli anni passati, dove si offrivano circa 500-600 posti, ma restano comunque pochi rispetto ai giovani che vorrebbero partecipare.
Dobbiamo considerare anche che, in generale, per giovani in Italia, le opportunità di fare esperienze all’estero, minimamente pagate e minimamente lunghe, sono veramente poche.
Come per i posti in Italia c’è solo un requisito d’età di massimo 28 anni e la cittadinanza o residenza in Italia. Ovviamente per posizioni all’estero la conoscenza della lingua del Paese è fondamentale per poter essere considerati e l’esperienza previa nell’ambito del progetto, l’aver svolto attività simili a quelli di progetto in passato, o l’aver conosciuto l’organizzazione per cui vi candidate, magari perchè siete stati volontari per i pacchetti regalo di Natale o partecipato a qualche loro iniziativa, sono tutti elementi che aiutano a posizionarvi bene in graduatoria.
I Corpi Civili di pace e il servizio civile all’estero sono la stessa cosa?
Il servizio civile nazionale, che oggi si chiama servizio civile universale, è uno e si può fare in una sede in Italia o all’estero. I Corpi Civili di pace sono un programma sperimentale del Servizio Civile.
Tra gli enti del servizio civile c’è una rete di organizzazioni, la rete Caschi Bianchi, che include ad esempio FOCSIV, Comunità Papa Giovanni XXIII, ed altre, che hanno una certa visione dei volontari in servizio civile, quella appunto del “casco bianco”, fondata su valori comuni per la costruzione di una pace positiva, che non significa semplicemente assenza di conflitto.
La rete Caschi Bianchi è formata dalle organizzazioni che, per prime, hanno promosso il servizio civile all’estero, e i loro progetti di solito presentano nel titolo stesso le parole “caschi bianchi”.
Un colloquio di selezione per un progetto della rete Caschi Bianchi sicuramente terrà conto anche delle motivazioni del candidato, per rintracciare valori comuni a questa visione del servizio civile.
Proprio queste organizzazioni hanno lavorato con il Dipartimento per una sperimentazione chiamata “Corpi civili di pace”. Sono usciti infatti due bandi sperimentali per volontari nel 2017 e nel 2019, con progetti di servizio civile all’estero, focalizzati su aree post conflitto o in zone a elevato rischio anche sociale, o che uscivano da situazioni particolarmente problematiche.
In cosa consiste la preparazione dei volontari per i progetti all’estero?
In generale per tutti i progetti di servizio civile nel monte ore sono previste delle ore di formazione. Una parte della formazione (30-40 ore) riguarda una formazione più generale: temi che riguardano la cittadinanza, la comunicazione, temi uguali per tutti in qualunque progetto di servizio civile.
Un’altra parte invece più specifica sul progetto può variare molto, è più lunga e si fa più in campo con il proprio tutor che in aula.
Anche per i progetti all’estero è così. Normalmente la parte di formazione più generale si fa in Italia nel primo mese di servizio. I progetti all’estero di solito hanno più sedi e organizzano la formazione in sede in Italia, con tutti i ragazzi che partiranno. Formando poi dei gruppi, in base al Paese di destinazione.
Chi per esempio andrà in Congo si formerà sugli aspetti importanti del Paese e sull’azione dell’organizzazione con i referenti in sede. Così faranno gli altri volontari che magari andranno nella sede del Perù ecc. con approfondimenti specifici.
La formazione specifica proseguirà in loco, una volta nel Paese di destinazione. Non si tratterà di formazione in aula ma di riunioni e momenti formativi con lo staff. Sicuramente includerà anche norme di comportamento da adottare, o da evitare, per ambientarsi e non essere visti negativamente dalla comunità del posto.
Cosa ti motiva oggi a lavorare come formatore dei giovani in servizio civile?
Quella di fare il formatore non è stata una scelta ponderata. Alcune delle cose che faccio in parte sono frutto di coincidenze. C’ho messo del tempo a capire che mi piace molto fare questa cosa.
Sono antropologo e facevo molta ricerca sociale, così ho fatto delle ricerche sui giovani che avevano fatto il servizio civile. Poi piano piano hanno iniziato a chiedermi di fare formazione ai giovani in partenza.
Avevo fatto già collaborato con l’università facendo lezione. Mi era piaciuta l’idea di fare una formazione che spaziasse molto sui temi, dall’intercultura alla progettazione, alla comunicazione.
Mi sono reso conto che questa formazione è molto diversa rispetto a quella in un’aula universitaria, più dialogata, più interattiva, perché i ragazzi e le ragazze che partecipano sono più maturi, più a loro agio a fare domande ed esprimere punti di vista, anche più disincantati, e questo per me è sempre molto stimolante.
“Mi stimola a continuare nel mio lavoro, che include scrivere progetti di servizio civile con gli enti, il pensiero di poter dare un’opportunità a dei giovani di fare un’esperienza, come la mia. A me è servita tanto anche se non era come l’immaginavo. Questo perchè può darti qualcosa in più. Farti vedere tante cose in maniera diversa ed esserti utile in momenti diversi nella tua vita”
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